Affrontare la descrizione di due
pavimenti in maiolica ubicati in Viterbo ci porta a fare alcune considerazioni
preliminari sulla produzione ceramica viterbese nel medioevo.
Viterbo nel medioevo, come città a governo comunale, aveva degli statuti che regolamentavano le attività delle arti e dei mestieri. Se per altre corporazioni questi vennero applicati fin dal 1237, per quella dei vasai si dovette attendere il 1251. Ciò non esclude che prima di questa data i vasai operassero in Viterbo, anzi possiamo dire con certezza che si arrivò all' esigenza di regolamentare l' attività lavorativa solo in conseguenza della mole di lavoro che si era sviluppata. La corporazione dei vasai aveva come propria sede una chiesa dove, oltre che assistere alla funzioni e cantare l' officio, si trattavano gli affari sociali. Essa era intitolata a Santa Maria e poi a San Nicolò delle Vascelle o dei Vascellari, di cui la prima menzione è dell' anno 1249 e l' ultima del 1667. Sorgeva nell' area che è oggi Piazza della Pace, ed esisteva ancora nel 1596, essendo ancora disegnata in una pianta della città compilata in quell' anno. |
Dagli Statuti del Comune del 1251 risulta, aal' art. 45 - parte III, che la corporazione dei vasai godeva di un privilegio: i vascellari avevano la facoltà di tornare a casa anche in ora tarda, unica eccezione tra tutti i mestieri: "Statuimus quod figuli eo sero quo deocunt vasa, post pulsationem campanae ad dicta vasa coquenda ire et redire valeant sine pena".
La ragione di questo privilegio ci è spiegata nel' art. 27 - parte IV, in cui si stabiliva una multa di 20 soldi al vasaio che cuoceva durante il giorno per il disturbo che il fumo della fornace arrecava al vicinato.
"Volumus quod nulli figulo vel vascellario liceat ignem mittere ad vasa coquenda nisi post vesperas, et qui contra fecerit puniatur in XX solidis; et praedictas ptestas facere teneatur et vendere per civitatem ut fuit hactenus consuetum".
L' attenzione che si riscontra negli Statuti comunali alla Corporazione dei Vascellari dimostra l' importanza che la produzione ceramica aveva nel Medioevo.
I due pavimenti rinascimentali in maiolica di cui tratteremo, si collocano dunque all' interno di na tradizione d' arte ceramica di vasto respiro.
La chiesa di S. Maria della Verità, fondata da una comunità di monaci Premonstratensi, venne costruita fuori dalla cinta muraria tra il XII e il XIII secolo.
Dapprima fu chiamata di San Matteo ed in seguito Santa Maria della Verità, a causa di un miracolo avvenuto nell' anno 1446 e raccontato da un cronista dell' epoca, certo Niccolò della Tuccia: "Il 18 di Maggio 1446, di mercoledì, a ora di nona, occorse gran miracolo nella chiesa di Santa Maria della Verità.
Essendo tre mammolini in età di 10 anni in giuso, un figliolo di Cristoforo del Prete, l' altro, figlio di Giovanni Cieco, e il terzo, figlio di Giovanni da Rezzo; e andando nella detta chiesa, videro visibilmente una donna che cantava sopra l' altare della Nostra Donna; e lì a piedi videro un vestito di sacco che gridava misericordia.
Li mammolini sbigottiti fuggirono gridando e annunziando la detta cosa. Per lo che trassero molti uomini e donne a vedere, e non videro niente: ma ponendo cura nel viso della Nostra Donna che sta sopra l' altare in una tavola di legno, videro versare dal viso poco a poco gocciole di sangue; e questo videro gran quantità di gente...
Ciò nonostante ci fu gran varietà di resie: e per invidia, alcuno frate predicava ciò non esser vero. Benchè poco gli fu creduto. Molte grazie e miracoli fè in poco tempo; sanare rattratti, illuminare ciechi, rendere l' udito ai sordi e la parola ai muti, e tanti altri senza fine: e di assai fu fatta scrittura con testimonianza".
Intorno al 1460 Messer Nardo Mazzatosta di Viterbo, vi fece costruire a sue spese una "onorevole cappella" ed incaricò il pittore Lorenzo da Viterbo di affrescarla interamente.
L' opera fu probabilmente finita nel 1460, con la raffigurazione dello Sposalizio di Maria. Stupefacente è la varietà dei personaggi raffigurati: tipi, caratteri, espressioni, atti e gesti desunti da personaggi reali della città, come attesta il cronista Niccolò della Tuccia, anch' esso raffiguarato nell' affresco.
"...sono molti giovani cavati dal naturale. tra quelli da quello lato ove sta la gloriosa vergine sono pinte certe pie donne di più ragioni e di retro a dette donne sta una vestita di negro, in forma di vedova; e di retro a quella detto maestro volse pingere me e cavarmi dal naturale, e così fè.
Ove vederete un omo antico d' età, d' anni sessantotto e mezzo circa, vestito di pagonazzo e col mantello addosso e una berretta tonda in testa e calze nere.
E quello è fatto alla similitudine mia, fatta ai 26 aprile 1469. E quelle persone che vorranno leggere mie scritte e cognoscermi, vengano a vedere in quello loco. L' altre figure sono fatte a similitudine d' altri, delle quali al presente non fò memoria".
Il pavimento della cappella venne ricoperto di mattonelle smaltate a guisa di tappeto prospicente l' altar. Esso è formato da quadrelli incorniciati da esagoni allungati, formando nell' insieme ottagoni incatenati.
Gli esagoni sono costantemente ornati con un unico motivo di doppia foglia gotica detta "a cartoccio". E' da notare che i "cartocci" sono orientate in due sole direzioni ad angolo.
Colore primario della pittura è il blu cobalto su fondo bianco. Le foglie del "cartoccio" sono dipinte in blu cobalto, con velature dello stesso colore . I boccioli variano dal giallo chiaro, al verde ramina, al manganese.
I quadrelli, dipinti con gli stessi colori, hanno diverse raffigurazioni; di animali: pantera, cavallo, civetta, airone, serpente, lepre, gru, coniglio, porcospino e leone, in varie pose; raffigurazioni di frati: un frate in posa di lettura, con accanto la scritta FRATES, un frate contenuto in un calice, in atto di preghiera, rivolto ad un sole dipinto a volto umano, un frate regge un boccale; raffigurazioni di puttini quasi sempre alati, che danzano o suonano il liuto, reggono fiori, coppe o spade, uno corre su un cavalluccio in legno, un altro seduto su uno sgabello tiene un cartiglio con la scritta: MEMENTO MEI DOMINUS MEI.
Ma dove l' artista si è sbizzarrito è nei profili e nelle figure umane, alcune con acconciature, altre con copricapo, ma tutte piene di carattere; esse legano perfettamente la ceramica pavimentale con gli affreschi dipinti alle pareti. Vi si scorgono i ritratti, molti dei quali improntati al più acuto umorismo e spesso commentate da frasi significative: vicino ad una donna, ad esempio, si legge: EL ME FORZA; vicino ad un uomo intento davanti ad un leggio, la frase: LIGI BIN; vicino ad un giovane si legge: PAGA; vicino ad una donna: PASA TEMPO; vicino ad un uomo in tocco con la sinistra benedicente è scritto: RICURSIT e tante altre purtroppo erose dal tempo.
Nel mezzo del piancito è un ottagono con un grande stemma della famiglia Mazzatosta (leone rampante su campo azzurro e giallo); sotto lo stemma un ornato di foglie con una scritta assai consumata: "ANGILUS NI DARE...M...VANI".
Compare anche uno stemma di Viterbo (leone con palma stilizzata).
Parecchi quadrelli sono occupati da una sola lettera ed i restanti con variazioni del "cartoccio".
Ai due lati dello stemma Mazzatosta spiccano due ottagoni, ornati al bordo da racemi blu su fondo bianco, detti "alla porcellana" e nel centro degli ottagoni, dentro un largo circolo, sono tracciati, probabilmente, due emblemi ecclesiastici o di confraternita, uno con un triangolo e l' altro a doppio triangolo incrociato, sormontato dalla croce a due traverse.
L' opera, anche se pregevole, è del tutto anonima, nessuna indicazione qui, nè per monumento , nè per documento, circa l' autore, anche se il legame che c'è tra le figure pavimentali e le figure degli affreschi ci fa senz' altro ipotizzare un' attribuzione a maestranze locali nell' ambito della scuola pittorica viterbese.
Il TEMPIETTO di Santa Maria della peste, oggi Sacrario ai Caduti, è una graziosa costruzione ottagonale, arieggiante l' architettura bramantesca.
Fu costruita per un voto fatto in seguito alla pestilenza o del 1493 o del 1501, a spese, come attesta l' iscrizione del pavimento, di Paolo Mazzatosta e di un tal Martino conciatore di grano: PAULU MAZZATOSTA - MARTINU CONCIATOR DI GRANO F. e dipinto da quel Paolo Nicolai indicato nella iscrizione: "(PAU)LUS (NI)COLAI PINSIT.
Il pavimento ricopre per intero l' area ottagonale del tempietto ed è costituito da piccole mattonelle quadrate di 9 cm. di lato.
I colori sono in prevalenza blu cobalto ed arancio e tutte sono riquadrate con una semplice cornicetta in blu.
Vi sono dipinti diversissimi ornati: dai motivi floreali e geometrici, a quelli animali come lumache, lepre, delfinoe varie specie di uccelli; a profili grotteschi di gnomi, con strani corpiciattoli, ad uno dei quali con lunghe orecchie asinine, esce una lingua gialla; non mancano teste di dame e cavalieri, in profili caricaturali.
Lo stemma gentilizio dei piccolomini, le cinque lune disposte in croce, presente su di una mattonella, ci porterebbe a considerare che il pavimento sia stato eseguito durante il pontificato di PIO III nel 1503 che durò soltanto alcuni mesi.
Oltre le iscrizioni indicanti i committenti e l' artista, ve ne sono altre tipo: PAX VOBIS - PAX VIC DOMO... MARIA, ed altri frammenti che sottolineano l' intenzione devozionale nei riguardi di Maria, alla quale era attribuito il merito di aver posto fin alla pestilenza.
Nel suo complesso questo pavimento si presenta vivacissimo, in quanto l' artista si è servito degli elementi più disparati per raggiungere l' effetto che voleva ottenere,; però esso non ha nulla a che fare con la sobria maestosa armonicità di quello della cappella Mazzatosta, dove tratti sapienti di mano agile e sicura ed esperienza di cottura rivelano le notevoli capacità dell' artista ceramista.
Un motivo stilistico che accomuna i due pavimenti siti nella cappella Mazzatosta e nel tempietto di Santa Maria della Peste, è la realizzazione in vena umoristica - caricaturale, di profili e ritratti umani, dal segno estremamente elementare assai usato nella pittura vascolare viterbese del quattrocento e forse strettamente legato allo spirito di gaiezza che la cittadinanza i Viterbo perpetuava in feste, giuochi e spettacoli popolari come ci narra il cronista Niccolò della Tuccia e ci attestano gli Statuti Comunali.
Un motivo, invece, che diversifica i due pavimenti va ricercato non solo nell' importanza grafica delle opere, ma nella stessa qualità di esecuzione pittorica e di cottura delle formelle che li costituiscono, diversità che ci conduce ad ipotizzare il lavoro di due diverse botteghe come esecutrici dei pavimenti.
Si tratta, in ogni caso, di opere di notevole levatura, capaci di ben caratterizzare l' ambiente socio culturale in cui hanno trovato origine e collocazione: Viterbo Rinascimentale.
di Franco Cirioni
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